LUCIO E ADESSO A CHI SCRIVO?
Non ho molti capelli, anzi ne ho pochi e per giunta color carne, si confondono con il cranio.
Ho pochi capelli, meno dei concerti di Lucio Dalla a cui ho avuto la fortuna di assistere.
Lucio è insieme ad altri profeti del cantautorato italiano un riferimento costante nel mio sviluppo culturale ed emozionale.
Da sempre pensando a questi idoli mi chiedevo cosa avessi fatto senza le loro canzoni e soprattutto come sarebbe stato il mio mondo dopo la loro morte.
Lucio è per me una voce amica, una presenza fraterna, un viso abituale.
Lucio è per me come un comodo paio di calzini dentro cui correre, saltare, camminare, aspettare.
Come lui Massimo Troisi, Miles Davis, Tom Jobim…
Non mi è mai importato più di tanto che fosse cittadino onorario di Sorrento, lui abita dentro il mio cuore e questo per come la vedo io basta ed avanza.
Mi ricordo che durante un suo soggiorno sorrentino lo conobbi sittin’ on the dock of the bay.
Era venuto a svernare con la sua barca dal nome improbabile “Catarro”, come improbabili le sue Ray-Ban, le collanine, la scazzetta di lana multicolore, quelle mani tozze, sgraziate e pelose che veleggiavano sulla tastiera di un piano o di un clarino con siderale leggerezza.
Nacque una frequentazione di pochi giorni in cui, senza tema di smentita, fui il primo a sapere dalla sua bocca emiliana, che aveva composto “Caruso”.
Mi raccontò tutti i particolari, le storie dei vecchi pescatori di Surriento, quella stanza incastonata nell’Excelsior Vittoria, il pianoforte del mitico Enrico.
Dopo qualche mese mi trovavo nell’arena di Paestum per un suo concerto.
C’era l’aria delle grandi occasioni; lo scirocco estivo ci accartocciava la lingua rubando dispettosamente fino all’ultima stilla di saliva.
La terra bolliva sotto le scarpe, il sole scherzava con le pupille, passavano le ore e la sera si apriva foriera di estenuante ed emozionante attesa.
Che spettacolo! Gli Stadio all’apice della loro notorietà gregariavano passo a passo dietro le scorribande dell’imprevedibile folletto bolognese.
A metà dello show, all’improvviso si spengono le luci sul palco.
Occhio di bue fisso sul piccolo grande uomo.
“ragazzi, questa canzone l’ho scritta pochi mesi fa a Sorrento, si chiama Caruso e fa così…”
QUI DOVE IL MARE LUCCICA E TIRA FORTE IL VENTO, SU UNA VECCHIA TERRAZZA DAVANTI AL GOLFO DI SURRIENTO, UN UOMO ABBRACCIA UNA RAGAZZA DOPO CHE AVEVA PIANTO, POI SI SCHIARISCE LA VOCE E RICOMINCIA IL CANTO…TE VOGLIO BENE ASSAJE…
La melodia, inaspettata e di una bellezza dolorosamente sconcertante scalzò lo scirocco, nel buio della sera fregandosene di tutto e tutti.
Dopo aver sciolto il sangue nelle vene di quanti eravamo lì, ci lasciò nudi, intontiti, muti con le lacrime a rincorrersi sulle guancie.
I MIRACOLI OGNI TANTO CAPITANO ANCHE SULLA TERRA.
Personalmente credo che Lucio si sia domandato 10, 100, 1000 volte cosa avesse combinato su quello spartito vuoto.
Non so cosa si sia risposto ma so cosa sento nello stomaco ogni volta che quella canzone mi viene a trovare.
Oggi mentre stavo a poppa nave, mozzicando un panino volante farcito in maniera deludente, qualcuno ha urlato “LUCIO DALLA E’ MORTO”.
Il fragore della mia pena ha coperto il ruggito infinito dei motori della nave.
Per un attimo ho perso il contatto con il ferro di questa scatola galleggiante e mi sono sentito solo, come ogni volta che nel bene e nel male non posso esplodere la gioia ed il dolore per non passare per matto su una nave che deve andare avanti.
A navigare si rischia di indossare un vestito tessuto con le stoffe più scadenti, ed il peggio è che lo sai, ma pur di non mostrarti nudo te ne freghi e lo metti su cercando di mascherarlo dietro sorrisi e cortesie false come le tette rifatte di una pornostar.
Lucio, sai perché mi sento solo ed incazzato adesso?
Avrei voluto scrivere una lettera ad un amico ma tu mi hai anticipato saccheggiando nei miei pensieri.
Avrei voluto dire ad una donna “tu non mi basti mai” ma tu lo hai fatto prima di me.
Avrei voluto che mio figlio “crescesse senza aver paura” ma non poteva essere così, lo sapevamo entrambi.
La prossima sera che mi aspetta dietro la aberrante linea dell’orizzonte non sarà una “sera dei miracoli, da passare in centomila in uno stadio”; la mia sarà una sera come la scorsa sera fra sventagliate di curry e zafferano, tandem di implorazioni coraniche e rasoiate di sguardi musulmani che vengono da lontano nello spazio e nel tempo.
Ed io qui a chiedermi su quale treno della notte viaggerà la Felicità e se a bordo ci troverei Marco con le sue grosse scarpe e poca carne alla ricerca di Anna Bellosguardo.
Ed ora, se permetti, avrei bisogno di piangere…
DEDICATO AL MAESTRO FRANCESCO CHIU